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La Direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID II), subordinando l’accesso alla prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti ad un’autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti dei singoli Stati membri (art. 5), configura tale servizio quale attività riservata, perseguendo così la finalità di dettare una disciplina a carattere soggettivo a carico delle imprese di investimento che vi accedono, alle quali vengono dunque imposti dei doveri di protezione nei confronti degli investitori.

La questione della tutela dell’investitore occupa infatti una posizione centrale nella normativa euro-unitaria radicandosi nella presa di coscienza, per mezzo degli studi delle scienze cognitive in materia di behavioral economics degli anni 50 del secolo scorso e della crisi finanziaria del 2008, circa il fallimento delle teorie classiche del «decisore razionale», secondo le quali è sufficiente eliminare le asimmetrie informative affinché l’investitore effettui una scelta ottimale per sé ed in via mediata per il mercato; al contrario, l’individuo sarebbe affetto da dissonanze cognitive, facendo egli ricorso alle euristiche di ragionamento, ossia a strategie di pensiero per il raggiungimento degli scopi più rapide che si discostano della logica formale ed influenzate dalla prospettiva soggettiva con la quale il soggetto processa l’informazione, la c.d. «metacognizione»; con il noto caso Gamestop Corporation del 2021 è stato ulteriormente dimostrato come l’immaturità dell’investitore nell’attività finanziaria trasformi quest’ultima in un mero gioco, la c.d. gamefication della finanza.

Il tramonto della filosofia della trasparenza è stato tradotto dal legislatore in meccanismi di eteroregolazione delle scelte di investimento del risparmiatore: è di questa matrice l’impianto della MiFID II in materia di consulenza ex art. 4, par. 4, tanto che il caposaldo della disciplina è rappresentato dalla fase di profilatura dell’investitore e, segnatamente, dall’obbligo di valutazione dell’adeguatezza del prodotto finanziario consigliato sulla base dell’esperienza nel campo finanziario dei clienti, rispetto ai quali non solo viene ex ante calibrata la domanda, dovendo l’impresa di investimento definire quali determinati prodotti sono per loro inidonei (la c.d. product governance), ma anche l’offerta, potendo le autorità di vigilanza nazionali ed internazionali prevenire il collocamento di prodotti oltremodo rischiosi (la c.d. product intervention).

Quest’ottica di subordine della res alla persona, per usare espressioni gaiane, o di azione nel best interest del cliente, per rimanere in termini eurounitari, è sottesa anche al secondo pilastro della MiFID II, ossia al divieto di incentivi per i consulenti che prestano il servizio di consulenza su base indipendente; questi non possono accettare incentivi monetari e non monetari da terzi: il fine è quello di evitare conflitti di interesse. Per la consulenza prestata su base non indipendente, invece, sono ammessi inducements a condizione che questi conducano all’innalzamento della qualità del servizio fornito al cliente ai sensi del c.d. «quality enahancement test» e non pregiudichino il dovere di agire nel migliore interesse del cliente.

Ciononostante, un sondaggio di Eurobarometro del 2023 ha rivelato che solo il 38% dei consumatori è fiducioso che la consulenza sugli investimenti ricevuta dagli intermediari finanziari sia nel proprio migliore interesse. Questa sfiducia concorre a determinare il basso volume degli investimenti retail in Europa evidenziato dai dati Eurostat, secondo i quali nel 2021 le famiglie dell’UE detenevano solo il 17% del proprio patrimonio in titoli finanziari, rispetto al 43% delle famiglie statunitensi.

Nella consapevolezza di dover colmare questo crescente divario di competitività rispetto alle altre economie mondiali nonché dell’imperativo di un mercato europeo dei capitali integrato, il 24 maggio 2023 la Commissione Europea, coerentemente all’action 8 «Costruire la fiducia degli investitori al dettaglio nei mercati dei capitali» dell’action plan 2020 nell’ambito della Capital Markets Union, ha emanato un pacchetto normativo in tema di Retail Investment Strategy composto da una proposta di direttiva Omnibus, di natura intersettoriale giacché tesa alla modifica della MiFID II come anche delle direttive IDD, UCITS V, AIFMD e Solvency II, nonché di un regolamento modificativo del Regolamento PRIIPS; avendo la Commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento europeo approvato una proposta di direttiva emendata nell’aprile 2024 e avendo il Consiglio reso pubblica la propria posizione a seguito di una riunione dei Financial Services Attaches nel giugno 2024, l’iter legislativo è in attesa dell’avvio del trilogo, previsto per ottobre 2024.

Nell’attesa del testo di compromesso esito dei negoziati interistituzionali, le linee guida della disciplina RIS sono state già tracciate, ed attraversano anche il perimetro della consulenza finanziaria.

Ai fini del perseguimento del best interest dei clienti, la Proposta della Commissione, con l’introduzione dell’art. 24 par. 1-bis MiFID II, prevede che la prestazione del servizio di consulenza sia accompagnata dalla valutazione di una gamma adeguata di strumenti finanziari (lett. a), dalla raccomandazione, tra gli strumenti finanziari adeguati e che presentano caratteristiche simili, di quelli più efficienti in termini di costi (lett. b) e, grande novità, dalla raccomandazione di almeno uno strumento finanziario c.d. «plain vanilla», ossia privo di supplementi non funzionali agli obiettivi di investimento e comportanti costi aggiuntivi (lett. c). La Proposta del Parlamento attenua tali obblighi: relativamente alla lett. a), la gamma di prodotti valutata deve riflettere il modello aziendale di pertinenza; per la lett. b), si prevede di considerare anche fattori di tipo qualitativo. Inoltre, la lett. c) viene sostituita dalla lett. c-bis) che stabilisce un generale obbligo di non anteporre l’interesse finanziario o di altro tipo dell’impresa di investimento all’interesse del cliente. La Proposta del Consiglio sottolinea il profilo della valutazione dell’efficienza in termini di costi – secondo il più ampio concetto del value for money – nei quali include anche altri fattori rilevanti quali performance e rendimenti attesi.

Rispetto alla dibattuta questione degli inducements, la Commissione ed il Parlamento confermano il divieto di percezione degli incentivi per la consulenza indipendente; la Commissione, in un tendenziale inasprimento degli obblighi relativi al pagamento e al ricevimento degli incentivi, da un’originaria ipotesi di ban totale, si è infine limitata al loro divieto anche nelle operazioni execution only, ma non in quelle collegate a operazioni per le quali è prestata una consulenza dato il più elevato grado del servizio reso al cliente. Il Consiglio, non condividendo il divieto sugli incentivi, al contempo propone un generale rinforzo delle garanzie in materia, riproponendo anche un controllo simile al «quality enahancement test».

Nella fase di profilazione del cliente vengono introdotte novità condivise dalle tre proposte. Il Considerando 33 prevede che il consulente, nella valutazione dei prodotti e servizi raccomandati, possa utilizzare dati provenienti da rapporti preesistenti. Il Considerando 36 stabilisce che il consulente debba identificare i prodotti di investimento particolarmente rischiosi e informarne i clienti al dettaglio. Nel contesto della valutazione di adeguatezza, in base al modificato art. 25 par. 2 MiFID, il consulente è tenuto a considerare la composizione e la diversificazione del portafoglio del cliente, includendo le informazioni fornite dal cliente stesso sia a tal riguardo come anche sulla propria conoscenza ed esperienza con strumenti o servizi finanziari di quel tipo, sulla propria capacità di sopportare perdite e sulla propria tolleranza al rischio.

Eppure, l’elemento di maggiore innovazione è l’art. 25 par. 2 MiFID, introdotto dalla Commissione e confermato dal Consiglio ma espunto dalla proposta del Parlamento; questo prevede una procedura di valutazione dell’adeguatezza snellita per la consulenza indipendente che si limita a strumenti finanziari diversificati, non complessi ed efficienti in termini di costi; in tal caso, l’impresa indipendente non è tenuta a ottenere informazioni sulle conoscenze e sull’esperienza che il cliente al dettaglio ha degli strumenti finanziari o dei servizi di investimento considerati né sulla composizione del suo esistente portafoglio.

Qualche considerazione conclusiva. È evidente che da un punto di vista statistico il progetto della CMU non ha ancora raggiunto il successo auspicato e fra le varie ragioni vi è certamente la sfiducia degli investitori alla quale questo diffuso approccio paternalistico – si pensi anche alla parallela proposta di Regolamento sulla finanza aperta (FIDA) del giugno 2023 – molto probabilmente non sopperirà: accudire è un compito arduo, ed è facile cadere in contraddizioni. Si prendano ad esempio gli inducements: nella consulenza indipendente il loro divieto è posto per evitare eventuali conflitti di interesse, eppure tali incentivi potrebbero sostenerla economicamente, giacché è molto costosa e ne necessita la maggior parte dei consumatori, carenti di alfabetizzazione finanziaria e di cultura del rischio; il divieto va dunque a scapito degli investitori meno ricchi, che vi hanno accesso con più difficoltà – ricostruzione confermata dai dati dei Paesi che hanno vietato in toto le retrocessioni, come Regno Unito e Paesi Bassi –. Da questa breve riflessione emerge chiaramente come il tema dirimente in materia di tutela sia l’educazione finanziaria. Proprio come un buon padre sa che non può proteggere il figlio in ogni circostanza ma deve insegnargli ad essere autonomo, così dovrebbe avvenire nel campo finanziario; eppure, la normativa RIS relega ad enunciazioni di principio l’aspetto che maggiormente richiederebbe implementazioni, il che lascia molti dubbi sulla sua solidità futura.

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