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L’Allegato I, Sez. B, n. 3, TUF annovera il servizio accessorio di consulenza sulla struttura finanziaria delle imprese o sulla corporate finance. Detto servizio viene definito come «consulenza alle imprese in materia di struttura del capitale, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché consulenza e servizi concernenti le concentrazioni e l’acquisto di imprese».

In quanto servizio accessorio, questo servizio può essere prestato tanto da intermediari vigilati quanto da soggetti non autorizzati e il servizio può essere prestato dagli intermediari tanto come strumentale al servizio – per dir così – principale di investimento, quanto al di fuori dalla prestazione di un servizio vigilato.

Il legislatore europeo e nazionale ha consentito agli intermediari di fornire consulenza sulla corporate finance anche alla luce delle consolidate prassi delle più grandi banche d’affari, soprattutto statunitensi. Questo tipo di consulenza viene offerta dagli intermediari vigilati a imprese tendenzialmente non piccole che devono, per es., quotarsi su un mercato, compiere operazioni di ristrutturazione ovvero di M&A. Queste operazioni, infatti, contemplano potenzialmente l’emissione, sottoscrizione o vendita di strumenti finanziari [cfr., per es., il caso esaminato dalla Consob nella sua Comunicazione n. DIN/0019719 del 13 marzo 2014].

Si è ritenuto, perciò, opportuno che gli intermediari-consulenti avessero la possibilità di prestare consulenza su queste operazioni anche sotto il profilo, lato sensu, strategico. In questo modo è, infatti, possibile offrire al cliente un servizio che, nel complesso, consente all’intermediario di approfondire comprendere meglio gli interessi sottesi alle singole eventuali operazioni in strumenti finanziari richiesti dal cliente e, dunque, di perseguire al meglio i suoi interessi.

Cosa che, in operazioni di questa complessità, potrebbe non essere possibile qualora all’intermediario fosse ex-lege imposto di prestare alla propria clientela i soli servizi di intermediazione tipici.

Peraltro, ciò spiega anche il motivo per il quale gli intermediari, quando prestano servizi accessori come questo tipo di consulenza, debbano rispettare le medesime norme di condotta previste in materia di servizi di investimenti [cfr., per es., gli artt. 52 e 53 del Regolamento Intermediari; cfr., inoltre, Comunicazione Consob n. DI/99038880 del 14 maggio 1999 e S. Belleggia, L. Gaffuri, La consulenza in materia di investimenti, Milano: 2022]

Detti servizi, in quanto configurati come servizi complementari ai servizi di investimento principali, possono essere prestati dagli intermediari in funzione del miglioramento dei propri servizio e, dunque, allo scopo di migliorare i modi in cui l’intermediario opera e realizza gli interessi della clientela.

Questo tipo di consulenza va tenuto distinto dal servizio di consulenza in materia di investimenti.

Mentre, come anticipato, la consulenza sulla struttura finanziaria delle imprese è un servizio meramente strumentale e, dunque, non soggetto a particolari restrizioni in ordine ai soggetti che possono prestarlo, la consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento compreso nella riserva di cui all’art. 18 TUF e che viene definita nei suoi caratteri essenziali dall’art. 1, comma 5-septies, TUF come la «prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari».

Il criterio distintivo di questo servizio è, perciò: (i) l’emissione di una raccomandazione da parte dell’intermediario; (ii) che sia diretta al cliente e formulata in modo da essere personalizzata rispetto al suo profilo da investitore; (iii) avente a oggetto operazioni (di sottoscrizione, acquisto o vendita) in – specifici – strumenti finanziari [cfr. sul punto, anche A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali, Milano: 2024 e Comunicazione n. DIN/0019719 cit.].

Dunque, il servizio di consulenza in materia di investimenti ha un contenuto più circoscritto rispetto alla consulenza accessoria sulla struttura finanziaria delle imprese.

Resta da esaminare se un intermediario possa prestare simultaneamente questi due tipi di consulenza e, più nello specifico, se lo svolgimento di una consulenza sulla struttura finanziaria da parte dell’intermediario possa migliorare il processo con il quale l’intermediario determina il tipo di operazione in strumenti finanziari da raccomandare al cliente e, dunque, l’emissione della propria raccomandazione (e, dunque, l’emissione della valutazione di adeguatezza).

Astrattamente ciò sembra possibile. Si faccia il caso di una società manifatturiera che chieda all’intermediario una consulenza in ordine a una operazione di acquisto di uno strumento finanziario creato per coprire detta società dai rischi correlati alle sue attuali esposizioni debitorie verso il sistema bancario (per es., un IRS) o la vendita da parte di questa di partecipazioni detenute in portafoglio.

Per meglio comprendere la struttura effettiva da dare allo strumento finanziario e strutturare così una operazione in strumenti finanziari che possa poi raccomandata (i.e., che l’intermediario ritenga adeguata) ai fini della sua successiva sottoscrizione, l’intermediario potrebbe avere bisogno di esaminare in modo più approfondito la struttura organizzativa della società, i costi del suo capitale di rischio e di debito, le singole esposizioni.

L’intermediario potrebbe, poi, ritenere di dover preliminarmente consigliare al cliente di compiere delle preliminari ristrutturazioni o rinegoziazioni delle esposizioni debitorie o delle riorganizzazioni produttive funzionali alla riduzione del costo dei finanziamenti o all’aumento della redditività della produzione, potrebbe consigliare la cessione di determinate attività aziendali, la riorganizzazione del gruppo societario, etc.

Va, poi, preso in esame il caso in cui intermediari esteri non autorizzati in Italia prestano questo tipo di consulenza a clienti italiani. Come accennato, la prestazione di questo tipo di servizi accessori è, in quanto tale, non soggetta a particolari restrizioni.

Tuttavia, come evidenziato, potrebbe essere difficile distinguere una consulenza sulla corporate finance prestata a un cliente da una consulenza in materia di investimenti (ossia, da una raccomandazione a compiere una operazione di acquisto o vendita di determinati strumenti finanziari).

Sovente accade che intermediari esteri (specialmente britannici e statunitensi) non autorizzati in Italia operino in Italia (recte, con clienti residenti in Italia) prestando loro consulenza sulla propria struttura finanziaria, contribuendo in modo determinante nello studio e nella strutturazione di operazioni di acquisizione, quotazioni, scissioni, aumenti di capitale con emissione di nuove azioni, etc., da parte del cliente interessato al compimento di siffatte operazioni [cfr. R. Ghetti, La consulenza finanziaria tra promozione dell’impresa e protezione del risparmio, Milano: 2022].

Lo svolgimento di consulenze sulla struttura finanziaria da parte di intermediari non autorizzati in Italia che si limiti ad analizzare, per es., la strategia da attuare per compiere siffatte operazioni senza, poi, raccomandare quale strumento finanziario acquistare o vendere appare di per sé legittima e, dunque, non infrangerebbe alcuna riserva.

Difficilmente si potrebbe parlare, infatti, di una raccomandazione di investimento rilevante perché possa dirsi prestato un servizio di consulenza in materia di investimenti riservato agli intermediari autorizzati in Italia in quanto sarebbe assenta la riferibilità a operazioni su specifici strumenti finanziari [cfr. sul punto anche Comunicazione Consob n. DIN/9076005 del 18 agosto 2009, in part. p. 2, in cui si evidenzia la distinzione tra consulenza generica e consulenza personalizzata]

E tuttavia, quando l’intermediario estero non autorizzato in Italia (sovente una banca d’affari) offre la propria consulenza al cliente italiano quale precondizione per procedere all’attuazione della strategia precedentemente analizzata e, dopo il suo rilascio, presta a questo i propri servizi (per es., aprendo conti correnti a nome del cliente, prestando finanziamenti per l’acquisto dei titoli di interesse del cliente, consigliando la vendita di titoli presenti nel suo portafogli, etc.), egli commetterebbe con ogni probabilità una violazione delle riserve di attività previste sia in materia finanziaria, sia in materia bancaria.

Peraltro, l’esistenza di una consulenza preliminare – sia pure non riservata – potrebbe indurre a credere che il servizio sia stato prestato in seguito ad attività promozionali dell’intermediario verso il cliente, portando così a escludere l’applicabilità dell’eccezione della reverse solicitation di cui all’art. 47 MiFID II.

Tutti aspetti, questi ultimi, che mostrano come sia difficile distinguere, nonostante l’apparente precisione delle norme di legge, i due tipi di consulenza e che suggeriscono agli operatori non autorizzati (quali intermediari esteri e imprese commerciali o professionisti italiani) a prestare questi servizi con massima delicatezza per non ricadere nell’ambito di attività riservate e, dunque, nelle severe sanzioni previste per i reati di abusivismo bancario e finanziario.

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